Stop Lockdown…e ora? La paura di uscire di casa. La sindrome del prigioniero o della capanna

Stop Lockdown…e ora? La paura di uscire di casa, cioè La sindrome del prigioniero o della capanna.

Siamo al terzo giorno dalla parziale riapertura e si diffonde la paura di uscire. Ci hanno detto spesso che non si tratta di una “liberazione”. Molte delle restrizioni che ci hanno accompagnato nelle scorse settimane si sono allentate. Si può andare al lavoro senza certificazione. Ci si può spostare per acquisti e per visite ai parenti all’interno del territorio provinciale. Si può tornare a fare sport all’aperto individualmente e anche le passeggiate con il cane non sono più legate al giro del palazzo.

Presentato così, lo stop al lockdown sembra avere solo lati positivi. Sto, però, riscontrando un aumento di paura di uscire di casa.

Per molti la possibilità di uscire di casa, in questo momento, si presenta come un fattore carico di stress.

 

Quali cause portano alla difficoltà di tornare alla normalità pre-Covid? Perché il pensiero di ricominciare a vivere spaventa?

Molte persone provano senso di inadeguatezza a causa della paura stessa di tornare alla normalità. In questo caso di emergenza globale il timore di uscire sembrerebbe essere una delle reazioni più comuni anche da parte di persone che non hanno mai manifestato particolari segni di ansia o preoccupazione. Sembrerebbe essere una conseguenza naturale delle situazioni di isolamento prolungato.

Cosa provoca questa ansia? Questa angoscia è nota a tutti gli psicologi che abbiano affrontato le reazioni a lunghi periodi di isolamento. Questa reazione è conosciuta con il nome di ‘sindrome del prigioniero o della capanna’.

Questa sindrome è caratterizzata da sintomi di ansia e angoscia e da evitamento. Il risultato è che le persone manifestano angoscia, tremolii, tachicardia, sudorazione quando ogni volta che si intende uscire di casa. Spesso i sintomi vengono associati a pensieri negativi legati alla salute e alla sicurezza personale o dei propri cari.

Quali fattori alimentano la paura di uscire di casa?

Prima di tutto la pandemia è arriva all’improvviso e ci ha gettati in uno stato di allarme a cui abbiamo dovuto adattarci. Per due mesi abbiamo visto le nostre città, il nostro Paese e il Mondo intero ridefinire le routine quotidiane di tutti i cittadini. Abbiamo visto in tv e sui social scorci di quotidianità inimmaginabili fino a febbraio 2020.

distanza di due mesi possiamo tornare alla normalità, ma la questione è: quale normalità? Il mondo esterno è cambiato e siamo cambiati anche noi così come le persone che conoscevamo. Sono cambiati i riferimenti stabili, le routine, le regole sociali. Uscire di casa significa prendere contatto e conoscenza del cambiamento. Strade ancora semi vuote, negozi chiusi o ad accesso regolamentato, volti coperti dalle mascherine. La paura che tutto non sia ancora finito. Non c’è ancora un vaccino, non c’è ancora una procedura terapeutica sicura.

Queste preoccupazioni riguardano la popolazione in generale. Discorso a parte ancor più coinvolto in questo fenomeno è quello per le popolazioni delle zone maggiormente coinvolte nell’epidemia. In queste zone molti sono stati interessati direttamente a livello familiare del contagio ed essere sopravvissuti senza aver potuto assistere, consolare e sostenere i propri cari e congiunti aggiunge un senso di impotenza e di rabbia.

È stato per tutti uno shock e il ritorno alla normalità di prima è faticoso e fonte di ansia e preoccupazione. Alcune persone dispongono di capacità innate ed acquisite di resistere e fronteggiare anche le situazioni più estreme; altri individui non hanno queste capacità tanto sviluppate. L’incertezza per il futuro economico, la paura per la salute propria e dei propri cari, incrina l’equilibrio di queste persone per le quali restare a casa è fonte di senso di sicurezza e tranquillità.

In linea generale questa sindrome sembrerebbe colpire persone che nella fase di isolamento si sono bene adattate alle limitazioni al punto da sentirsi a proprio agio e rassicurati dai tempi e dagli spazi ristretti dalle regole dell’isolamento. È questo il motivo per cui la possibilità di uscire e il ridimensionamento delle limitazioni provocano stress in questi soggetti, che con fatica hanno ridefinito le proprie routine quotidiane adattandole alle restrizioni degli spostamenti.

Un leggero e temporaneo stato di timore legato al ritorno ai ritmi di vita pre-isolamento può essere naturale e non richiede un intervento specialistico. Nel caso in cui questo timore porti ad autolimitarsi potrebbe essere utile rivolgersi ad uno psicologo. È importante con bambini e adolescenti osservare comportamenti che possano essere campanelli d’allarme in modo da intervenire precocemente.

Diversi sondaggi, relativi alla percezione del futuro, hanno evidenziato che un terzo degli intervistati di età compresa tra gli 11 e i 21 anni hanno una percezione pessimistica del futuro ed esprime il timore di affrontare la realtà fuori dalle mura domestiche. Il ritorno alla vita dopo la pandemia sembrerebbe non essere tanto facile portando con sé un importante carico emotivo.

Come affrontare queste paure?

Per poter ricominciare a vivere è fondamentale affrontare e superare le proprie paure.

I consigli sono semplici e potrebbero sembrare ripetitivi.

  1. Seguire le norme di comportamento sociali e igieniche. Quindi mantenere la distanza di 2 metri, indossare la mascherina al chiuso e all’aperto nei luoghi molto frequentati, lavarsi frequentemente le mani e non toccarsi il viso senza essersele lavate bene prima.

  2. Razionalizzare e analizzare realisticamente il rischio. In moltissime città e località del nostro Paese il rischio di contagio è molto basso. Rispettando le norme di comportamento il rischio si abbassa ulteriormente. Per rassicurarsi su questi temi consiglio di leggere i regolamenti regionali e comunali in materia.

  3. Per gestire le manifestazioni e i segni più evidenti di ansia e paura potrebbe essere utile ricorrere a tecniche di rilassamento e controllo della respirazione.

Pubblicato da Dott.sa Fabiola M. Comotti

Sono la dottoressa Fabiola M. Comotti, ho conseguito la laurea magistrale in Psicologia Clinica nel febbraio del 2013. Ho conseguito l'abilitazione nel febbraio del 2016 presso l'Ateneo di Firenze. Sono iscritta all'Albo degli Psicologi della regione Emilia-Romagna con codice 8606. Mi occupo di counseling psicologico basato sulle emozioni, di training per teamworks e di ecoterapia.